ATTI COMPIUTI E IMMAGINARI - Nicola Zucaroa cura di Salvatore Manzi Il lavoro di Nicola, negli ultimi tempi, si è impreziosito di una valenza spirituale raffinatissima. Il suo costante interrogarsi sul corpo - il suo - di "attore" che attraverso una lotta estenuante contro l'effimero restituisce grani di verità. Il silenzio è parte integrante del suo agire, una necessità nello svolgimento della sua ricerca. Come ebbe a dire Jerzy Grotowski nel suo scritto "Per un teatro povero": "senza un silenzio esteriore non è possibile ottenere un silenzio interiore, il silenzio dello spirito". La povertà su cui riflette e che propone Zucaro è quella che distingue un certo tipo di artista che non viene acclamato e portato a spalla ma che piuttosto si carica di un conflitto senza fine. L'opera si mostra come una tregua, il frutto di una disciplina dello spirito che lo accosta poeticamente al pensiero teologico di Bonhoeffer. Non una pratica masochistica ma un tendere sempre verso un impulso, proprio come un attore responsabile verso le indicazioni di un regista. Zucaro espone atti di distensione o di tensione che non si riducono ad una tecnica ma ad un adempiersi di esigenze talvolta sottili, intangibili, indefinibili. Una liturgia intima al riparo dei divieti, iscritta oggettivamente nei suoi apporti all'interno di una sistematizzazione concettuale e che si pone come pratica antisociale e anticulturale. Debuffet in "Asphyxiante culture" sollevava la medesima problematicità considerando la cultura fortemente "restrittiva, limitativa e oscurantista". E Zucaro non è un devoto del dio simbolico della cultura, non la celebra dappertutto ma aderisce a quegli "istituti di deculturazione" favorendo un processo di emancipazione dalla stabilità, dalla permanenza e dalla fissità di ogni idolo. foto Peppe Maisto |