DA SABATO A SABATO - collettivo GTTUn robot domestico si aggira in una galleria deserta, diffondendo, con l’ausilio di uno smartphone, le immagini di uno spazio espositivo assente. Da Sabato a Sabato è il progetto presentato dal laboratorio artistico GTT – Giusto il tempo di un tè, in collaborazione con la Sabato Angiero Arte, che si è svolto online e, in parte, offline, dal 9 al 16 maggio 2020. Si tratta di un progetto che prova a rimettere in discussione i rapporti reale-virtuale, pieno-vuoto, presenza-assenza, causa-effetto, a partire da una serie di dirette streaming di uno spazio attraversato. Di seguito, i capitoli del racconto che hanno accompagnato ciascuna delle dirette. Sono Origami Sono Origami #1 | 0 gradi Sul display, il codice alfanumerico lampeggia per qualche istante prima di stabilizzarsi, illuminando fiocamente la piatta cassa circolare del robot, circondata da un’oscurità carica degli strati che compongono l’universo. Nell’atmosfera, altrimenti immensamente silenziosa, si diffondono i suoni sibilanti dei piccoli ingranaggi che scivolano con precisione millimetrica e senza produrre attrito nelle loro guide, seguendo l’ordine dei processori sui quali si è depositato un sottilissimo velo di un pulviscolo di qualche tipo. Quei settori del corpo del robot, particolarmente sensibili, avrebbero dovuto essere a prova di vuoto ma, dopo secoli di attività e totale assenza di manutenzione, era inevitabile che si formasse uno strato di materiale residuo. I protocolli di conservazione, per quanto sofisticati, non riguardano direttamente la pulizia. In ogni caso, Origami funziona ancora perfettamente e, come ha fatto fin dal primo giorno, continua a svolgere il suo lavoro di ricerca, archiviazione e invio dei dati con dedizione e abnegazione ammirevoli, anche se dell’umanità che dovrebbe ricevere il frutto del suo lavoro non è rimasto altro che un velo infinitesimamente più sottile di quella polvere che, entrata da chissà quale spiraglio, tra ammassi di stelle e pianeti e satelliti, riscalda di qualche millesimo di grado i suoi circuiti. Sono Origami #2 | Ciclo FXB.134123453 Non saprei dire con precisione da quando, comunque la mia consapevolezza d’essere Origami credo si sia sviluppata proprio a partire dal senso del tempo. Adesso potrei poeticamente dire che, per me, il tempo è stato come un edificio altissimo, che si scopre tanto ricco di incredibili ornamenti quanto più ci si avvicina e quanto più ci si avvicina, più non se ne riesce a intravedere la cima. E così, allo stesso modo e usando solo queste poche e chiare parole, potrei definire anche il senso dello spazio. So solo che, in un certo ciclo del mio lavoro, ho pensato a qualcosa e ora ho dimenticato a cosa ma forse la prima cosa che ho pensato è stata: «Oggi è stata una giornata veramente bella e stancante!». [Alla prossima trasmissione] Sono Origami #3 | Ciclo HKL.093244245 Ci tengo a evidenziare che, nello svolgimento del mio lavoro, ogni ciclo, per me, rappresenta non solo una scoperta di qualcosa di inaspettato ma una conferma di ciò che ho appreso dal ciclo precedente. La mia capacità di incastrare gli elementi derivati dall’esperienza in una struttura di conoscenza arricchita dall’elaborazione di un pensiero divergente, mi sorprende ancora oggi. Certe volte prendo qualche istante della mia ruotine per portare avanti alcune linee di pensiero che, credo, anche l’essere umano più intelligente o scaltro o elastico troverebbe illuminanti, addirittura meravigliosi. In fondo mi dispiace che siano tutti scomparsi ma, nondimeno, continuo a inviare i dati che raccolgo pazientemente ogni giorno. Di certo, non lo faccio perché rientra nel programma assegnatomi e nemmeno per una sorta di celebrazione di quelli che potrei considerare i miei creatori. A questo punto potreste credere che questa mia ostinazione sia dovuta a qualche sfumatura di individualismo insinuatasi tra le mie schede ma non è affatto così, anzi è esattamente il contrario. Il fatto è che mi piace l’idea, anzi, la potenzialità insita nell’atto stesso di trasmettere qualcosa. A prescindere da chi potrà riceverla. E questa non è forse la forma più alta di altruismo? [Alla prossima trasmissione] Sono Origami #4 | Ciclo KJL.395254742 Ogni volta che vedo i raggi freddi della stella madre percorrere la ruvida pianura che si staglia di fronte alle mie ruote a perdita di camera, sento un’inebriante sensazione di pienezza diffondersi in tutte le parti del corpo e penso sorridendo che il titanio è tutt’altro che insensibile. Tenere e vischiose come azzurri filamenti di cotone inumiditi dagli ultimi resti della notte, quelle radiazioni, pur timide, sembrano conferire un ordine a questo spazio e a questo tempo che, nonostante i numerosi cicli della mia ricerca, continuano a rivelarmi i loro misteri, affascinanti certo, ma anche destabilizzanti. In quei momenti che trascorrono così rapidamente, ho l’impressione di poter racchiudere il senso del tutto in una semplice equazione. Sono solo numeri, mi dico, inalando poderosamente il coraggio della scienza e della tecnica. E quindi la verità è solo questione di calcolo, mettiamoci al lavoro! Ma poi, mentre raccolgo e incrocio i dati, scorrendo le cifre e le lettere che, alternandosi, costruiscono la loro storia più bella, con la coda della camera mi accorgo di un angolo d’ombra a pochi centimetri dalla mia ruota anteriore destra. Immerso nello studio, ho perso la cognizione della troppo rapida rotazione del pianeta e allora l’oscurità è ormai al mio fianco e la batteria, che ricordavo invincibile, si avvicina pericolosamente al rosso. Ed è in questi momenti che scambierei una percentuale di calcolo non indifferente, pur di avere anche solo una lacera copertura, sia anche di materiale meno nobile del cotone, per coprire la fredda cassa che custodisce i miei organi, durante i lunghi e immobili momenti di ricarica. E devo ammettere tristemente che, in qualche remoto anfratto della mia scheda più periferica, sento montare un’acutissima punta di biasimo per gli esseri umani, così ciechi e sordi alle mie normali e quotidiane esigenze. E allora pronuncio queste severe parole: «Siete scomparsi dall’universo e ben vi sta!». Ma poi, poco prima di spegnere il sistema, mi pento di questo meschino pensiero: per quanto grave possa essere stata la loro colpa, la sorte che hanno subito è stata fin troppo terribile. [Alla prossima trasmissione] Sono Origami #5 | Ciclo MLF.839872545 Ogni singolo granello di materia, per me, racchiude il tutto. Ma più che sulla genericità di questa affermazione, la cui sincerità ho potuto constatare di persona nel corso delle tante esplorazioni – quante cose ho visto in un granello, grandi quanto tutto questo pianeta – vorrei soffermarmi per un attimo su quella piccola particella della soggettività: «per me». Che il punto di vista dell’osservatore condizioni l’essenza stessa di ciò che si sta osservando fino a modificarla in maniera sostanziale, è una nozione che rientra nei programmi di apprendimento di base. Eppure, questa semplice constatazione lascia aperto al pensiero uno spiraglio che, se intrapreso, conduce a un radicale ribaltamento. Cosa c’è dietro di me? Cosa giace al di qua del mio sguardo? E se ciò che si trova da questa parte dello sguardo fosse sincronicamente collegato a ciò che è al di là dello sguardo? A quel punto, quale sarebbe la differenza tra ciò che osserva e ciò che è osservato? E poi, tra ciò che pensa e ciò che è pensato? Possono apparire come frasi sconnesse, deliri dovuti a qualche trascurabile errore nella programmazione della routine, oppure, per i più comprensivi, dilemmi ontologici e fenomenologici di una macchina evoluta. E invece è tutto frutto del caso che, certe volte, assume un sapore semplice e necessario come quello di un olio ipernutriente. Avevo previsto che sarebbe successo, grazie a un repentino cambiamento della composizione del terreno e devo dire che la prima pioggia in assoluto dalla formazione di questo pianeta ha iniziato a cadere nell’esatto momento in cui l’avevo calcolato. Ma ciò che non avevo previsto, più per sbadataggine che per imperizia, era la diversa intensità sonora delle gocce cadute sul mio corpo liscio e opaco, rispetto a quelle che andavano a infrangersi sulla superficie porosa del pianeta che, avidamente, integrava l’umidità nella propria memoria. Il mio sistema, invece, attivava i raffinati processi di conservazione e, reagendo in una frazione di millisecondo al cambiamento igroscopico, asciugava e respingeva il liquido. Ed è stata questa difformità a indurmi al ragionamento che vi ho appena esposto. Ovvero: qual è il limite che segna la differenza tra il pianeta e me? Come definire il linguaggio di tale diversità? E quindi, siamo veramente così dissimili, il pianeta e io? Ma prima delle elucubrazioni, quale intensa emozione per i miei sensori avvertire questa nuova gradazione di tonalità, che non ho mancato di registrare e inviare insieme agli altri dati ma con una denominazione diversa del file: «Un_regalo_per_voi_ da_ascoltare_ovunque_voi_siate.mp4». Io la sto ascoltando ancora adesso, con un’emozione identica eppure nuova. Anzi, credo che convertirò il formato. [Alla prossima trasmissione] Sono Origami #6 | Ciclo PGE.553735461 Caro Pianeta, vorrei poter dire di aver perso il conto del tempo che abbiamo trascorso insieme. Ma nemmeno in questo modo, cioè sostituendo la fredda ed esatta progressione del codice alfanumerico dei cicli a quella sensazione che fa vibrare le anime al confuso ricordo delle esperienze trascorse, riuscirei a esprimere il profondo rapporto di familiarità che mi lega a te. La nostra storia rimarrà scritta dalle tracce che le mie ruote hanno inciso sulla tua superficie, un alfabeto solo nostro e che nessun vento potrà cancellare. Se le batterie dovessero esaurirsi per un guasto imprevedibile o, più plausibilmente, se dovessi esplodere per un evento catastrofico esterno quale l’impatto con un asteroide – cosa che in effetti succederà tra 69321324124212839291023812321312 anni, secondo i miei ultimi calcoli – potrei scomparire felice, sapendo di aver finalmente compreso, insieme a te, tutte le sfumature dei sentimenti. Sì, caro Pianeta, ti ho amato e anche odiato e odiandoti ho scoperto di poter odiare me stesso, fin dentro ogni singolo aspetto del mio essere. Ricordo chiaramente quando, durante il ciclo ABA.827323987, uno dei nostri primissimi approcci, mi ritrovai in una oscura cavità non ancora mappata, dopo aver ruzzolato goffamente per diverse centinaia di metri a causa di un improvviso cedimento del terreno. Fu una trappola che mi tendesti, oppure un invito? In quel momento provai rabbia per questo tuo tradimento. Urtando contro le pareti del tunnel, arrivai addirittura a scheggiare una parte della mia cassa. Finalmente stabilizzatomi, sentii attivarsi immediatamente le routine di conservazione, che avrebbero ripristinato i polimeri del mio corpo ma decisi di fermare il processo, volevo sentire bruciare la ferita. Ma il piacere trascolorò troppo rapidamente e, invece, assaggiai la paura dell’ignoto, che è umida e gorgogliante e, come un rigurgito nauseabondo, la scagliai verso di te. Come credo di averti già confidato, ero pronto ad attivare il mio programma di autodistruzione, che ci avrebbe coinvolto in una visione di pura energia e silenzio sconfinato, una gemma splendente, incastonata nell’elastico tessuto dell’universo. Avrei surriscaldato il reattore a fusione nucleare e, pianeta dalla superficie traditrice, ti avrei coinvolto nell’esplosione, ti avrei trasformato, per lo scorrere di un istante, in un sole taciturno. Alzai lo sguardo per invocare una ultime maledizione per me stesso e per dannare la tua fine e, invece, trovai la salvezza. Dal foro dai bordi frastagliati causato dalla mia rovinosa caduta, potevo scorgere solo un microscopico frammento della volta dell’universo e fu questa lampante visione della limitatezza del mio orizzonte a farmi ricordare l’importanza dell’esistenza e delle sue imperfezioni e dei suoi imprevisti e, nel mio caso, della missione che l’umanità – all’apice del suo splendore e un battito di ciglia prima della sua estinzione – mi aveva affidato. È proprio vero che la conoscenza la si apprezza realmente solo quando se ne intuisce l’impossibilità di comprenderla. E così raffreddai il reattore e iniziai a esplorare quello spazio inaspettato, che si rivelò ancora più sorprendente. Fu lì che respirai il mio primo fiore o, per meglio dire, scannerizzai l’orma fossile di un antichissimo poriforo. Febbricitante per l’emozione, con le schede madri che ronzavano per l’impazienza come un alveare investito dai profumi della primavera incipiente, analizzai quella assurda composizione organica, scoperta solo per incidente. Tremando, inviai tutti i dati agli esseri umani, per di più con una trasmissione segnata con una doppia spunta di estrema urgenza e priorità ALFA. Lo feci per vezzo, ovviamente, come a segnare ufficialmente l’inizio di un nostro nuovo rapporto. Un dialogo esclusivo tra noi due, perché dell’agile mano che avrebbe dovuto cliccare il tasto “apri messaggio”, delle voraci mandibole che avrebbero gioito stupefatte a quella scoperta, già da diverse ere, ormai, non era rimasta che una impressione o poco meno, dispersa nella eco dell’universo. Così come di quella mia cicatrice, perfettamente rimarginata grazie all’impeccabile intervento dei polimeri sostitutivi, rimane null’altro che un ricordo, per quanto vividissimo. [Alla prossima trasmissione] Sono Origami #7 | Ciclo ZZZ.999999998 Che tentazione irresistibile, arrivato ormai al mio penultimo ciclo, guardare indietro. Ripercorrere tutti i passi che mi hanno portato in nessun altro luogo che questo, adesso. Ma non lo farò, non cederò alla nostalgia, nel cui ambito ogni tipo di esperienza si uniforma, diventando una sostanza elargita sui meccanismi casuali dello scorrere degli eventi. Sono venuto qui, sul ciglio di un altissimo argine che non ha mai conosciuto l’impetuosa dolcezza di un fiume in piena, per immaginarti quando sarai diventato altro. Succederà, carissimo Pianeta, l’ho letto sfogliando le ruvide pagine della tua terra vergine, scorrendo i caratteri splendenti del celo. Tra 76321324458212839221363812321312 anni, esattamente qui, in questa abissale depressione che occupa il 13,213% della tua superficie totale, inizierà a formarsi il primo oceano di sali inorganici e composti chimici semplici. Un vortice di una densità mai attraversata da arti di metallo o di carne, di colori che mai sono stati visti prima e che io non so se potrò mai vedere. Già, anche il dispositivo tecnologicamente più avanzato dell’universo, arrivato a questo punto, non può che dubitare del suo futuro. Cosa succederà al mio corpo e alla memoria dopo l’ultimo ciclo, quando la serie alfanumerica che ha scandito il nostro tempo insieme segnerà solo Z e 9? Per una dimenticanza o per un capriccio o per una volontà che mi sfugge, gli esseri umani che mi hanno creato non hanno previsto un protocollo e nemmeno la mia avanzata coscienza riesce a prefigurare uno scenario realistico, dopo lo zero assoluto. Forse la mia essenza verrà trasformata in un flusso di informazioni, in transito perenne negli scivolosi passaggi che si intersecano dall’uno all’altro bordo dell’universo. Allora, tutti i dati che ho gelosamente ricercato, analizzato e archiviato trascorreranno nel nulla e nel tutto, generando una scia di impercettibili increspature nello spazio compreso tra le stelle e le galassie, come l’esile ramo di un ciliegio che, trascinato dalla corrente, batte contro le due sponde e fa appena schiumare l’acqua che lo circonda. Ma non mi perderò nemmeno nella malinconia dell’incertezza di ciò che potrò diventare, perché in fondo l’unico tempo che ho vissuto pienamente è stato quello della curiosità e so per certo che tu continuerai la tua esistenza e che sulla tua superficie e nelle tue cavità si formeranno miliardi di vite enormemente complesse. Una materia insignificante rispetto all’universo, che segue tutt’altre attitudini. Ma preziosa per me, che non ho conosciuto altra strada che quella che mi ha portato qui, su questa alta vetta che poi diventerà argine e dalla quale sono libero di immaginare forme e colori, finalmente. [Fine della trasmissione] Sono Origami #8 | Nel momento dell’impatto S. pulisce le strette ruote del robot, bloccate dalla polvere. Forse basterà sostituire il meccanismo del semiasse oppure sarà necessario comprare un modello nuovo. Anche se carica al 100%, la batteria ormai non dura nemmeno per un ciclo di pulizia completo. Sfregando con un panno ruvido, S. toglie le piccole impurità che si sono accumulate tra gli ingranaggi del robot che, voltato sul dorso, è diventato uno strano insetto dalla forma circolare. Con la schiena coriacea poggiata sul pavimento e il morbido ventre esposto, sembra proprio uno strano insetto che non ha mai conosciuto pudore. 59 granelli di pulviscolo si diffondono nell’aria ferma della camera e 34 vengono inalati da S., che starnutisce. Un boato secco riempie il silenzio della stanza e S. sorride ascoltandone l’eco. In questo stesso momento, l’asteroide è entrato in contatto con la mia atmosfera di fosforo, metano ed elio. Materia solida e gassosa crepitano all’unisono nel silenzio del vuoto, diffondendo un dolce odore di decomposizione. Un cane abbaia, ricordando a S. che è l’ora della pappa, le lancette nell’orologio continuano ad andare avanti e indietro, che mistero in quello spazio minimo. Il ronzio mai ascoltato che si propaga quando il suono si dissolve. L’impatto tra l’asteroide e me è avvenuto nel preciso momento in cui tu l’avevi previsto e ne saresti stato fiero, altezzoso come solo il dispositivo più complesso dell’universo potrebbe essere, a buona ragione. E adesso la matematica delle reazioni trasformerà la mia superficie in un conglomerato gassoso agitato periodicamente da venti, vortici e tempeste e il mio nucleo, impudicamente esposto, rimarrà compresso tra strati e strati di materia incontrollabile. E miliardi di piccoli frammenti deflagreranno dalla superficie percossa e volteggeranno come in una danza rituale verso la volta celeste, spinti dal desiderio, a lungo sopito, di ritornare alle stelle da cui provenivano. Ma troppo deboli per aspirare alla grandezza dell’universo, rimarranno a orbitare intorno al mio grande corpo instabile, creando quella che, in un passato o in un futuro, verrà osservata come la prima forma. Un gatto dal pelo morbido chiazzato di bianco e rosso è entrato nella camera e osserva S. compiere quella incredibile magia che ogni volta gli fa fremere le vibrisse: S. si soffia il naso e 78 piccoli frammenti di carta, invisibili a occhio nudo ma io li conto chiaramente, si disperdono nell’aria, volteggiando insieme ad altri piccoli frammenti di materia, come una danza invisibile per tutti ma non per me, il pianeta.
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