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IL VIAGGIO DELL'UOMO ESISTENZIALE - Fabio Oggero



Con Fabio, ci avventuriamo in un viaggio che si articola in due mostre distinte ma profondamente collegate. La prima: "La Natura dell'Immaginario: Natura come Specchio Interiore" ci conduce nel mondo naturale dell'immaginario, dove la natura stessa diventa uno specchio delle nostre emozioni e riflessioni più intime. Qui, i paesaggi che Fabio cattura non sono solo luoghi fisici, ma mondi interiori, paesaggi dell'anima che evocano sensazioni di silenzio, vastità e profondità, invitando l'osservatore a esplorare l’interconnessione tra l'uomo e il suo ambiente naturale.

La seconda mostra: "La Costruzione dell'Immaginario: Architettura come Equilibrio" invece, ci porta alla costruzione di un mondo immaginario, dove l'architettura, simbolo della razionalità e della progettualità umana, si fa spazio per riflessioni più astratte. In questo contesto, la costruzione dell'uomo si intreccia con l'immaginario, dando vita a scenari che sfidano i confini tra il reale e il possibile, tra ciò che è tangibile e ciò che è frutto dell'immaginazione.

In questo doppio percorso, Fabio non solo documenta, ma invita a riflettere su come la natura e la costruzione umana, in dialogo tra loro, possano dar vita a nuovi spazi di pensiero e immaginazione.



Caos e Ordine di Angela Madesani



Il bosco è soggetto dell’arte occidentale dal XVII secolo, in particolare nella pittura di paesaggio olandese e nordica. Nell’Ottocento, durante la stagione romantica, il bosco diviene in molti casi foresta e assume un significato metaforico, legato all’animo umano e alle sue problematiche.
La psicanalisi sarebbe arrivata parecchi decenni dopo, ma il tormento, l’ignoto, il mistero della psiche erano già tematiche di massima importanza.
Un dipinto di Max Ernst, intitolato La Forêt del 1927-28, propone questo soggetto realizzato con una tecnica da lui creata tramite il frottage e la pittura a olio. Parte dal “puro automatismo psichico” surrealista di Andrè Breton. In esso la foresta è una sorta di chiusura, di muro invalicabile. Un’opera che formalmente poco c’entra con le fotografie di Fabio Oggero, qui proposte, che con esse ha, tuttavia, un legame di natura concettuale, poetica. Le fotografie hanno come soggetto il mondo dell'indistinto, in contrapposizione al mondo del distinto, che è costituito dall’altra parte della sua produzione fotografica.
Architetto di formazione, fotografa l’architettura per professione, lavora su pieni e vuoti, materie visibili, definibili e definite. La fotografia di architettura regge alla forza e alla potenza dell'indistinto? La risposta è soggettiva.
Le foto con la foresta sono l’altra parte della stessa medaglia, una sorta di test funzionale della parte distinta del suo lavoro.
Ordine in rapporto al caos, in cui uno dà senso all’altro in una dimensione dialettica e dialogica indiretta, mentale: non è qui un confronto tra le diverse immagini.
È il conscio in rapporto all’inconscio per giungere all’insieme, all’unità.
Un’esigenza d’altro, una necessità di verifica, una sorta di scavo per toccare la profondità dei fenomeni, inteso nel senso classico del termine, di ciò che appare.
«La tensione tra ordine e caos si fa evidente: la presenza definita degli alberi e il sottobosco indistinto e avvolgente. I giochi di luce creano suggestioni oniriche, evocando la dualità dell’inconscio: un luogo di potenziale creativo ma anche di incertezza e paura. Le radici contorte e i riflessi simbolici dell’indefinito, dell’ambiguità caratterizzano i nostri pensieri più profondi. In questo spazio primordiale e senza confini della mente, la foresta diventa un corpo vivo, un’entità che respira e racchiude l’essenza dell’indomabile che trasmettere un senso di meraviglia e inquietudine, un viaggio visivo che stimola una riflessione profonda sul potere del mondo interiore e sulle sue molteplici sfaccettature».
Nella fotografia sulla parete grande, la foresta è una scenografia di architettura naturale. Nulla accade davanti ad essa perché il senso del tutto è già contenuto in quanto ci viene proposto.
Mentre nelle immagini di architettura Fabio Oggero, c’è un punto di vista previlegiato, che gli arriva dalla cultura prospettica occidentale, dai templi
dell’antica Grecia, dalle teorie brunelleschiane, dal De prospectiva pingendi pierfrancescano, nelle fotografie naturali esso non c’è e neppure c’è una gerarchia visiva.
Apparentemente non esiste una costruzione compositiva, è una presa diretta della profondità tridimensionale. L’occhio si trova di fronte alla potenza della natura nella sua totalità. Le singole parti sono tutte egualmente importanti e non determinano la finitezza. Lo sguardo si perde in essa senza riuscire a trovare un punto privilegiato, che non avrebbe neppure un senso reperire. Il lavoro sull'architettura, seppur affrontato anche in termini metaforici, presenta gerarchie di segni, luci, forme, volumi. Qui è l’opposto.
Oggero lavora su entrambi i fronti contemporaneamente: uno dà senso all’altro. La fotografia di architettura trova un controcanto in quella di natura.
La foresta è una scenografia naturale non pensata, non progettata, che si sviluppa da sé, senza il bisogno dell’uomo, qui totalmente assente, mentre nella fotografia di architettura esso è presenza assente.
La natura è potente, indistinta, capace di spiazzarci totalmente. Vengono in mente Il ragazzo selvaggio di François Truffaut, L’enigma di Kaspar Hauser di Werner Herzog, in cui la civiltà è contrapposta alla potenza della natura vincente. La natura, infatti, si rimpossessa in breve di quanto viene abbandonato.
L’uomo tenta di addomesticarla così con il giardino. Quello all’italiana di tradizione rinascimentale, che in epoca romantica, tornando a quanto scritto all’inizio, viene ribaltato per giungere al giardino all’inglese, in cui si lascia la natura libera di agire nella sua potenza: conscio e inconscio, razionale e irrazionale, ordine e caos. Un dualismo che è anche alla base delle prime teorie filosofiche della grecità.
Le foto con le foreste diventano per Fabio Oggero uno strumento liberatorio dalla costante costrizione della visione occidentale, che gli permettono di romperla per esplorare il suo inconscio. Si viene così a creare un viaggio continuo tra architettura e natura attraverso le quali l’autore verifica la propria interiorità in rapporto con il tutto.
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