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IN COLLISIONE - Maria Giuseppina Grasso Cannizzo

di Claudio Bozzaotra

In bilico tra realtà e immaginazione, capace di esprimere una modernità acuta, appare l’opera di Maria Giuseppina Grasso Cannizzo dal titolo In Collisione, dove l’estetica della macchina attraverso linee, quadrati e rettangoli, nel gioco della loro composizione/scomposizione predispongono l’anima all’incontro con l’universo. La macchina, simbolo dell’innovazione, diventa, così, lo strumento nuovo di mediazione, conflitto, e la conquista nel dialogo uomo-natura e individuo-mondo. Diventa un estetismo sensoriale polivalente e, attraverso questo, altera lo spazio o opera concettualmente sul linguaggio, sapendo che quando una entrata sensoriale decodificata dagli apparati di interfacce (occhio, orecchio...) sbocca nel grande mare del linguaggio, è necessariamente anche nel gran mare umano che essa si viene a trovare, certificando quanto gli stimoli sensoriali hanno occupato tutti gli spazi dell’individuo. Si è portati a riflettere <...il rapporto è fra me e la realtà, fra me e la macchina, fra me e il mondo...>.
Pur nella sua assenza volumetrica e monumentale, qui non esperibile ma percettibile, l’istallazione della Cannizzo, già esposta al MAXXI di Roma, non vuole comunicare emozioni, piuttosto dati di ragione come il rapporto tra il movimento, simbolo della vita, e la stasi che è simbolo della morte; passando dal suo stato di “quiete”, grosso parallelepipedo proteso, spinto, verso una parete cieca dello spazio, a quello del suo aprirsi e chiudersi ad intervalli di tempo tali da viverne la metamorfosi e la rivelazione dove assume l’aspetto di una scultura-happening che sembra sottolineare la personale filosofia secondo cui il passato esiste solo nell'avvenire; all'insegna del gioco di rapporti tra arte, spazio e tempo. Ciò che ci appare può dilatarsi, farsi teatro per un "vero" spettacolo, uno spazio contenitore (non scenografia), per un movimento mimato. Per l’autrice è naturale l’uso della macchina.
È una ricerca, un discorso che nella scarna lucida sintesi ci coinvolge in una riflessione labirintica, con al centro un intrigo che ripropone le singole osservazioni in una continuità senza soluzione, dove ogni momento di verifica, divenuta coscienza, soggetto-oggetto, segue il precedente, ma appena passato, è ancora davanti. Perdersi nella foresta dei simboli e rileggerli al di là della riduzione psicoanalitica che li ha risolti in semplici segni, e, al di là della gabbia, in cui li ha trattenuti la linguistica quando li ha costretti nella morsa significato/significante, dove il significato è ciò che il segno esprime e il significante è il mezzo utilizzato per esprimere il significato. La percezione diviene strumento indispensabile di una sensorialità illuminata perché consente di vivere il momento presente, una sorta di esercizio del pensiero visivo in quanto le piccole sorprese riguardano la funzione e la sensorialità. Sarà già questa una scoperta sorprendente per la vicinanza a certe istanze della moderna gnoseologia, si pensi alla dialettica tra razionalità e immaginazione, alla teoria del discorso, al ricorso alla simbologia, all'analisi delle funzioni dell'intelletto attivo, suggestivamente chiamato, ai nessi tra immaginazione, sensorialità e paura e così via. Non è che la ricostruzione viva esperienze di sensorialità esasperata.
Di qui si giunge a installazioni come quella proposta, che sottopone i nostri visi a scomposizioni geometriche e rumorose attraverso immagini e monitor: fino a che punto di astrazione ci si trova riconoscibile? Quando si perde il mio io tra i pixel di uno schermo, su cui a dettare legge è un ritmo autonomo di dilatazione e contrazione sia dell'immagine che del suono?



foto mostra Peppe Maisto
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