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LA DIMENSIONE DELL'IMMAGINAZIONE - Bruno Di Pietro


a cura di Claudio Bozaotra

Il riferirsi a un'ulteriore realtà nascosta o oscura ma simile o sovrapponibile alla struttura del nostro mondo conduce al concetto di storia intesa come insieme di spazio e di tempo e quindi sempre come lacerto, frammento. Le idee e ciò che scaturisce da loro nascono, soprattutto, dalle suggestioni legate al “frammento” ed a ciò che esso evoca, non tanto sul piano della ricostruzione, quanto su quello dell’esperienza estetica d’un “non senso” rispetto al tempo presente. Una potenzialità di estraneazione nei confronti del contesto che ha come conseguenza l’immettere il prodotto creativo in uno spazio tempo paradossalmente al di fuori del tempo stesso o se si vuole in una diversa dimensione in cui passato e futuro si identificano nell’attimo del “presente”.
Mi piace definire questa situazione estetica come “dimensione dell’immaginazione” e considerare il frammento (rudere - espressione di memoria ma anche di esperienza) come punto d’attacco dell’immaginario stesso.
Una dimensione che è da riferirsi a una successiva realtà nascosta o oscura ma simile, o ancora sovrapponibile alla struttura del nostro mondo e, in una lettura se vogliamo bruniana, che si collega alla mnemonica, capace di un sapere universale dove tutte le particolari nozioni fanno capo a idee, tòpoi, cioè a delle immagini che rimandano ad altre idee che l'immaginazione ha il potere di cogliere nella loro somiglianza e affinità.
Infatti, se in Aristotele l'immaginazione svolgeva una mediazione conoscitiva tra i sensi e l'intelletto, e in Platone era una facoltà che metteva in rapporto il mondo delle idee con quello delle cose sensibili, in Bruno la capacità di formare immagini svolge il ruolo di una mediazione universale per la quale «tutto forma ed è formato da tutto… e noi possiamo essere portati a trovare, indagare, giudicare, argomentare, ricordarci di ogni cosa attraverso ogni altra.»
Nel caso specifico, della “non-mostra” di Bruno Di Pietro, è avvertire l’io come capacità di ricevere; interrompere un pensiero intenso come posizione del modello cui bisogna adeguarsi e la fissità di una gerarchia “naturale” fra impronta acustica, intellegibile (la voce), e impronta grafica, sensibile (scrittura). La gerarchia risponde al tentativo di arrestare il movimento inesauribile delle differenze e neutralizzare la paura che esse incutono con la classificazione quale sequenza prevedibile, e quindi disponibile, di un più e di un meno; se non vi è un origine, vengono meno la gerarchia e la classificazione. La differenza, l’archi-scrittura, eccede ogni oggettivizzazione e, per questo, non può divenire oggetto di una scienza; esse additano un “dislocare”, uno spostare da un luogo ad un altro e da un tempo determinati in un luogo altro ed in un tempo altro. L’essere trasportato, collocato in un posto “altro”, non lascia immutato ciò che è trasferito, l’esteriorità non è doppio di una interiorità, ma è la differenza, così come l’interiorità non è la replica fedele di una esteriorità ma l’altera irrimediabilmente.
I differenti sorgono con lo spazio e con il tempo e a loro volta con i differenti sorgono lo spazio ed il tempo. Il tempo e lo spazio trattengono l’identità e la differenza, che sorgono da essi, così come entrambi sono inseparabili da esse. Un “repertorio di possibilità”, come lo stesso Di Pietro ci dice, per la definizione di una “utopia ragionevole”,… forse per questo è come se il sole calasse ad Oriente.

Claudio Bozzaotra
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