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NELLA CITTA' DELL'ISTANTE MUTEVOLE - Raffaele Marone

Si mangia. Si dorme. Si muta. Così gli altri. Tutti gli altri. Tutto il resto. Impercettibili, irrefrenabili, istantanee conversioni di materie ed inconsistenze, di onde e minerali, di fluidi ed elettroni tenuti insieme da nomi ed etichette sotto le quali trasmigriamo, sublimando da stati solidi attraverso liquidi, in burrascose turbolenze aeriformi. Tra poli opposti per segno e posizione, oscilliamo. Percorrendo, stando fermi,

i n f i n i t e s i m i e d i n f i n i t i .

Quella voce che ascoltiamo nel silenzio, che non può essere assoluto, siamo noi estratti dalle profondità di ciò che esiste senza un prima e senza un dove. Quel discorso che non si interrompe è la misura della nostra resistenza della distanza tra la superfice senziente e l’armonia del sottosuolo. Entrare nel mutamento, esserne parte non è una scelta ma una verità che la parte esposta non riesce a creder vera a dispetto delle foto che ci negano ed irridono. Strutture architettoniche e sovrastrutture sociali per quanto solide o flessibili esse appaiano, vengono travolte e si scoprono miserabili, perché esse stesse consapevoli della vanità che le sostanzia. Che la materia, proprio perché astratta non può essere in alcun modo fissata, pena la sua collocazione nel nulla privo di senso. La ruggine non è oblio. Non lo sono i cespugli che affiorano nei centri commerciali. L’argine eretto è la follia, il delirio di chi non sa d’essere altro che i panni di cui è convinto d’esser fatto. Non siamo giacche e cappotti. Ma i capelli che abbiamo creduto di perdere. L’illusione del rallentamento è l’illusione che tutti pensiamo autentica. La vanità del silicone e l’oscena innaturale consistenza delle plastiche, il responso dei nostri vaneggiamenti. L’ostinazione e la pretesa d’esser sbalzati fuori dal tempo, di deragliare e scappar via la tragicomica vicenda dell’io che non s’accorge del ciclo che è sopra e sotto, fuori e dentro, prima e dopo. Osservare con intensità e sguardi rinnovabili, dunque per cogliere la meraviglia della città dell’istante mutevole che è già eterna e tutta presente sotto i nostri sensi. Uno e sessantaquattro esagrammi sovrapposti, innestati l’unonell’altro eppure ben distinti e visibili se toccati col profumo, se percorsi con lo sguardo ammutolito, annusati nel silenzio dell’io che la smette di parlare e accetta d’essere altro se finalmente, per un istante, comincia a lasciarsi camminare, tra dolore ed allegria.

Francesco Aliperti Bigliardo


foto Peppe Maisto



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