VIVERE Vivere è, etimologicamente, procurarsi il vitto per mantenere l’organizzazione biologica del vivente, animale, pianta,pietra. Il suo correlato negativo, morte, ha sempre a che fare col mangiare, il vitto: morte è morso. Si è fin dall’inizio della vita destinati allo squarquoio, all’entropia. Sappiamo che in natura “nulla si crea nulla si distrugge” (a me piace scrivere:”nulla si crea nulla, si distrugge”). Questo fatto lo accettiamo, è “naturale” ma non riusciamo a rispondere alla domanda immediatamente conseguente:”scomparirà con me anche la mia coscienza, il mio vissuto?”. Questo, non lo accettiamo serenamente. La filosofia contemporanea (p.es. Agamben, Homo Sacer), continuando Foucault e Canetti, parla di “nuda vita” ed esamina i rapporti vita-potere per cui il “vivere” viene inserito in un sistema che, per l’uomo, è vitale. Il “politikòn” di Aritstotele va, secondo me, inteso come “animale che ha bisogno della polis” ma, anche “molteplice” (polys) che (Fichte) sviluppa la sua umanità con gli altri umani.
Ma di quale vivere parliamo o, meglio, del vivere di chi? Usando l‘infinito, “vivere”, e non il “sostantivo” vita, ci accorgiamo che l’asse percettivo ha un’aura semantica vasta e profonda, che mette in gioco l’intero nostro sistema omeostatico, che siamo portati a compiere una scelta di campo tra la zoè, la vita animale, e il bìos, la vita intellettiva.Visualizzo zoè e bìos in un doppio Pulcinella, il corax, corvo (la materia grezza), primo grado dell’iniziazione mitraica (la biopolitica) e in quello che, canonicamente ed ineluttabilmente, si incontra con la morte, il lupo famelico. Parlo di Pulcinella in quanto perennemente affamato, in cerca di “viveri per vivere” . Penso a due Pulcinella corrispondenti a due distinte classi sociali e due significati: l’uno, quello della villa di Zainigo, dipinti dal Tiepolo, sorridenti ed ebeti come stoccafissi sulle altalena;l’altro è quello che si mischia coi collatori dei gigli di Nola, il cui callo sulla spalla ha proprio la funzione di gobba. Penso al “Kyrie èleison” (“Signore, sollevaci”) dell’alzata dei gigli, penso ai rituali della festa della Madonna dell’Arco in cui i viventi,per vivere (ritornare in equilibrio cognitivo ed esistenziale) sono agiti da riti di possessione in cui la “vita” mostra la sua potenza e il suo “manifestarsi” (i mani inferi).É attraverso questi eventi, ormai rottami culturali, che possiamo avvicinarci al senso del vivere. Dico senso perché “Dare un senso alla vita può condurre alla follia/ma una vita senza senso è la tortura/dell’inquietudine e del vano desiderio/è una barca che anela al mare eppure lo teme (Lee Msters, Ode a George Gray). Ciascuno di noi, se non affronta questo problema di senso, merita di stare fra gli ignavi di Dante. Siamo “marcatori di significati”. E in che consiste quello del vivere? È un significato che sta al di fuori del vivere, dell’anatomia e del pane quotidiano. Lo si intercetta quando entra in gioco la muscolatura involontaria del viso (muscoli, denti, ossa, bocca), quando la meccanica del volto diventa capace di sorriso. |